TURCHIA | La campagna messa in piedi di recente dal presidente turco Erdogan per “boicottare” il dollaro americano sta avendo una conseguenza inattesa: secondo quanto riportato da varie fonti compresa “BloombergMarkets” (leggi qui l’articolo completo), infatti, a fronte della cessione di depositi di valuta denominati nel biglietto verde per circa 450 milioni, i cittadini turchi hanno acquisito quantitativi d’oro per oltre 700 milioni di controvalore (sempre in dollari USA). Con la lira turca in crollo verticale sul mercato delle divise mondiali (-14% sul dollaro solo nell’ultimo trimestre), il governo del presidente Erdogan aveva invitato la cittadinanza a “proteggere” la moneta nazionale disfacendosi delle riserve in divise estere il cui valore ammonta a ben 144 miliardi di dollari.
Il metallo prezioso, tra lunedì 12 e venerdì 16 dicembre, ha proseguito nella tendenza al ribasso della quotazione già vista nelle settimane precedenti, scivolando sotto quota 1.100,00 euro per oncia (35,37 euro per grammo) e limando, così, ulteriore parte del guadagno messo a segno nel corso dell’anno 2016.
Settimana a due facce, per il metallo prezioso, quella tra lunedì 5 e venerdì 9 dicembre: dopo un brusco calo nella prima seduta del periodo, infatti, che ha visto scivolare l’oro sotto quota 35 euro per grammo, quattro giornate in costante territorio positivo sono state sufficienti a recuperare le perdite confermando, tuttavia, il clima di incertezza che da alcune settimane caratterizza il settore.
La Banca centrale russa ha accelerato fortemente, nel mese di ottobre, la propria attività di acquisto di metallo prezioso sui mercati internazionali incamerando ben 1,3 milioni di once d’oro, pari a 48 tonnellate metriche, sotto forma di lingotti.
Si tratta dell’acquisizione mensile più consistente che la Russia ha effettuato addirittura dal 1998 ed alcuni analisti nel settore della geopolitica hanno visto nella decisione di Mosca addirittura un segnale di forza lanciato da Vladimir Putin all’ormai ex presidente USA Barack Obama, col quale i rapporti non sono mai stati idilliaci.
L’industria mineraria sudafricana e, di conseguenza, anche il comparto estrattivo aurifero del paese sono a rischio di un vero e proprio collasso a causa dei disordini politico-sindacali in atto e dell’instabilità che caratterizza il mercato del lavoro, tra rivendicazioni della categoria dei minatori e porte chiuse da parte delle grandi compagnie.